Quando la manna non cade dal Cielo

Il museo della Manna

“Al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Man hu: che cos’è?», perché non sapevano cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il signore vi ha dato in cibo”.

La Bibbia racconta di come la manna fu miracolosamente inviata come rugiada da Dio per nutrire gli Israeliti nel deserto, finché essi non giunsero nella terra di Canaan. Anche negli scritti greci e latini c’è notizia di piogge di manna, mentre per gli arabi essa possiede proprietà spirituali ed è benedetta poiché rugiada celeste di cui parla il Corano. Dono divino, come raccontano i testi biblici e classici, oppure semplice prodotto di madre natura, la manna è la linfa ottenuta da alcune varietà di Fraxinus, pianta delle Oleaceae di cui, il Museo della Manna, uno dei piccoli preziosi musei italiani poco noti al grande pubblico e che meritano una visita, ne celebra le proprietà. Si trova a Pollina, uno dei pittoreschi borghi di origine greca nel Parco naturale regionale delle Madonie, in provincia di Palermo.

Il borgo di Pollina

La cultura del frassino da manna, le cui origini vanno ricercate nel mondo arabo, è presente in Sicilia almeno dall’XI secolo. Oggi il frassino da manna si coltiva solo tra Castelbuono e Pollina, dove l’ultima generazione di frassinicultori coltiva una superficie di 200 ettari. Uno di questi è Giulio Gelardi, il custode del “ciclo della Manna di Pollina”, impegnato nella conservazione e diffusione di questa antica coltura a rischio di estinzione e per questo iscritto dal 2012 nel libro dei Tesori Umani Viventi del Registro delle Eredità Immateriali Locali REIL. Istituito dalla Regione Sicilia, secondo i dettami della Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale del 2003, il registro è fondamentale per tutelare le pratiche riconosciute dalla comunità come parte del loro patrimonio. I raccoglitori di manna, gli “ntaccaluori”, sono circa 150, quasi tutti anziani utilizzano tecniche antiche, tramandate da generazione in generazione, diverse da una persona all’altra.

L’arte di incidere l’albero è un rituale che necessita di competenza, come spiega Gelardi, la pianta è matura e pronta per le incisioni quando finisce la buttata primaverile di rami nuovi; nel momento in cui la pianta non cresce più, c’è una gemma grossa, le foglie si aprono, quello è il momento giusto per estrarre la sostanza. La linfa delle incisioni fa sgorgare il succo che, man mano che scende verso terra, si cristallizza. La sostanza viene raccolta e fatta essiccare al sole. Il succo funziona come il sangue, forma una patina sulle ferite degli alberi e le fa cicatrizzare.

Vi sono diverse qualità di manna: la più pregiata è quella “a Cannolo” per l’assenza di impurità; simile a una stalattite si forma per gocciolamento della linfa lungo la corteccia dell’albero, mentre la “rottame” definisce i residui attaccati sul frassino e quella” in sorte” si accumula nei contenitori posti alla base dell’albero. Riconosciuta come Presidio Slow Food, nell’ottica della salvaguardia della biodiversità, la manna, oltre ad essere un ingrediente tipico della cucina isolana, è utilizzata in più ambiti, da quello alimentare, farmaceutico e cosmetico.

Il Museo della Manna

L’istituzione museale fa parte di MUSEA, Rete dei Musei Madonie-Himera che collega ventuno piccole realtà locali in una prospettiva di sviluppo sostenibile e di rispetto dei caratteri identitari che identificano e connotano il paesaggio. Nel 2015 l’ICOM, International Council of Museums, con il censimento Musei e Paesaggi Culturali l’ha selezionata tra le 10 pratiche meritevoli di menzione speciale, in quanto eccellente pratica nella relazione tra museo e paesaggio. Un museo responsabile del paesaggio, come ricorda la Carta di Siena, è al tempo stesso centro di interpretazione del patrimonio e del suo territorio ed ha il dovere di promuoverne la conoscenza dei suoi tratti e valori costitutivi, oltre a favorire la consapevolezza nei suoi abitanti e nei visitatori dell’importanza della sua protezione e valorizzazione.

I musei sono all’interno dei quasi 40.000 ettari del Parco naturale regionale delle Madonie, nella parte centro-settentrionale della Sicilia. Un paesaggio dalla vegetazione così rigogliosa da essere stato definito un giardino botanico al centro del bacino del Mediterraneo. Vi sopravvivono centinaia di specie endemiche come l’abete dei Nebrodi, insieme a piante giunte da regioni geografiche diverse, di cui ne è esempio il faggio, insieme a oliveti, vigneti, castagneti, noccioleti, pascoli e frassineti, in particolare quelli da manna. Posto sotto tutela dal 1989, per sottrarlo alle politiche di sfruttamento e vandalismo, non si è salvato dai devastanti incendi di natura dolosa dell’estate che ha distrutto circa un terzo della sua superficie con incalcolabili danni al patrimonio, agli imprenditori agricoli e allevatori.

Contro la politica dell’indifferenza, servono provvedimenti seri per punire i responsabili, educare al rispetto del bene comune e poter continuare a far parte dei nostri paesaggi.

Il Parco delle Madonie

Barbara Tagliolini

Storica dell’arte e antropologa (DEA all’EHESS di Parigi), ha una formazione in cooperazione internazionale. Svolge attività di progettazione turistica sostenibile in Cile per aziende multinazionali, comuni e comunità indigene e in Italia di consulenze nel campo del turismo, comunicazione e valorizzazione culturale del territorio. Dal 2003 al 2009 ha insegnato Tecniche di Mediazione Culturale ed Educazione Museale per il Turismo all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Autrice di vari saggi e pubblicazioni è guida turistica per la Provincia di Roma.