La sezione cinese del Museo Orientale Umberto Scerrato dell’Università “L’Orientale” di Napoli

Arte della Cina tra XIV e XIX secolo

La sala cinese del Museo Orientale Umberto Scerrato dell’Università “L’Orientale” di Napoli ospita alcuni esemplari, provenienti da lasciti di privati e di docenti dell’Ateneo napoletano, che consentono di dare un rilevante sguardo all’arte della Cina delle epoche Ming e Qing tra il XIV e il XIX secolo.

Un’antica mappa della Cina

L’esemplare più importante è una grande mappa della Cina (3,17×2,15 m) realizzata nel 1719 da Matteo Ripa (1682-1746), missionario ebolitano che, dal 1710, aveva lavorato a Pechino come pittore e incisore alla corte degli imperatori cinesi. La mappa, basata su una precedente elaborata dai Gesuiti francesi, è composta di numerosi fogli stampati da matrici in rame incise a bulino. Raffigura l’impero cinese con le coordinate geografiche e le indicazioni dei toponimi in cinese, a sud della Grande Muraglia, e in mancese, a nord.

Sulla via del ritorno in Europa, Matteo Ripa portò con sé un certo numero di copie a stampa della mappa ora sparse in biblioteche e archivi italiani ed europei. Giunto a Napoli nel 1724, fece montare su tela i fogli della sua copia personale, a tutt’oggi l’unica montata nella sua interezza. La carta fu poi esposta nella sede del Collegio dei Cinesi da lui fondato nel 1732 e da cui ebbe origine l’attuale Università “L’Orientale”.

La sezione cinese, la mappa della Cina di Matteo Ripa del 1719 e la statua in legno della divinità buddista Guanyin
Le sculture

Due sculture, di diverso materiale e dimensioni, afferiscono all’ambito buddhista. Una statua lignea (h. 127 cm) con tracce di pigmenti colorati raffigura la divinità buddhista Guanyin, in posizione stante: il bodhisattva della misericordia che viene in soccorso dell’umanità. Stilisticamente si può attribuire alla produzione della Cina settentrionale dei secoli XII-XIII, ma analisi di laboratorio hanno fornito una datazione a epoche successive, circostanza che lascia supporre che la statua derivi da un modello arcaicizzante e che sia stata più volte restaurata.

Una statuetta in bronzo dorato (h. 21 cm) rappresenta il Buddha Amitāyus e reca un’iscrizione con la data del 1770. La scultura, che simboleggia la longevità, fu commissionata in un gran numero di esemplari dall’imperatore Qianlong (1735-1796) per celebrare l’ottantesimo compleanno della madre.

Le porcellane

Il gruppo più consistente di oggetti cinesi è costituito dalle porcellane, intere e frammentarie. Si tratta di porcellana d’esportazione, realizzata in bianco e blu, cioè in blu cobalto sotto invetriatura, ottenuti in un’unica cottura. L’uso dell’ossido di cobalto da parte dei vasai cinesi ha una lunga tradizione e fu utilizzato per la prima volta nel periodo Tang, nell’VIII secolo. Il cobalto proveniva dall’Iran ed era quindi usato con molta parsimonia per i costi elevati. Ne resta preziosa testimonianza nel famoso vasellame sancai “a tre colori” e nell’importante ritrovamento di tre piatti decorati in blu cobalto con un ornato di tipo islamico rinvenuti in una nave araba del IX secolo, naufragata sulle coste di Beilitung, una piccola isola al largo dell’Indonesia e diretta a Basra, in bassa Mesopotamia.

Sarà proprio la porcellana bianca e blu quella trasportata dai Portoghesi nel corso del Cinquecento e, dal Seicento in poi, dalle Compagnie delle Indie Orientali.
Il bianco e blu era prodotto a Jingdezhen nella provincia del Jiangxi, nella Cina meridionale, e fu destinato prevalentemente all’esportazione sia verso i paesi asiatici sia, soprattutto, verso l’Occidente. Si tratta di un tipo di porcellana poco apprezzata dai Cinesi che la ritenevano troppo chiassosa e “volgare” se paragonata alle bellissime e quanto mai desiderate invetriature monocrome, in particolare quelle bianche o verdi che facevano la gioia dei letterati.

La sezione cinese, piatto in porcellana bianca e blu, XVII secolo

Gli oggetti integri della collezione cinese de “L’Orientale” rientrano nella classe del vasellame da tavola, piatti, bottiglie e kendi (versatoi per acqua senza manico con lungo collo), eseguito su commissione europea e databile al XVII secolo. La porcellana è del tipo bianco e blu denominato Kraak porcelain caratterizzato da un corpo sottile che spesso presenta imperfezioni, un decoro che attinge al repertorio iconografico cinese, floreale, zoomorfo, geometrico o con paesaggi animati da letterati, nuvole e cavalli volanti, che si inserisce in pannellature alternativamente larghe e strette. Questa tipologia di vasellame ha conosciuto un grande successo in Europa ed è stato spesso raffigurato sulle nature morte fiamminghe.

La sezione cinese, kendi con montature in leghe metalliche giavanesi, XVII secolo

I frammenti della collezione cinese, databili tra i secoli XVI e XVII, sono costituiti per lo più da bordi e basi di forme aperte (coppe e piatti). Provengono da una raccolta di superficie effettuata a Hormuz nel Golfo Persico, uno degli empori creati dai portoghesi lungo la via marittima che portava alla Cina. Poche sono le forme chiuse tra cui è da segnalare parte del versatoio di un recipiente d’acqua noto comunemente come kendi per la forma che ricorda quella della fiasca kundika tenuta in mano dalla divinità buddhista Guanyin.

Agli stessi secoli si ascrive un esiguo numero di frammenti di forme aperte con invetriatura verde denominata celadon in Occidente.

La sezione cinese: frammento di coppa con iivetratura verde, celadon

Arricchiscono la sala cinese serigrafie di dipinti famosi e plastici utilizzati nei laboratori destinati agli studenti universitari che evidenziano la funzione educativa del museo.

La sala cinese, serigrafie

Lucia Caterina

Lucia Caterina

È stata professore ordinario di Archeologia e storia dell’arte cinese presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”. Dal 2012 è direttore del Museo Orientale Umberto Scerrato. È autore di numerosi studi monografici e saggi pubblicati in riviste nazionali e internazionali.