Modena Bologna terra di confini limes e limen

Il confine: una linea che separa e unisce

Confine, limes e/o limen, parole latine in bilico fra limite e/o soglia, area che indica un limite (cum e finis): una linea di demarcazione che determina univocamente un rapporto di inclusione o di esclusione. Uno spazio che si trova fra le cose e che, mettendo in contatto, al contempo separa e, separando, mette in contatto culture, identità e spazi fra loro diversi.

Il confine è contatto, la frontiera è un confine, una linea di demarcazione, una zona di transizione in cui scompaiono le caratteristiche individuanti tanto che le città di frontiera, già nell’alto Medioevo, divengono centri periferici. Ci sono città che si trovano sul confine e città che hanno il confine dentro di sé come Castrum Francum la Città Franca, e Borgo Nuovo, fra le colonie romane di Mutina (Modena) e Bononia (Bologna).

Castrum Franchum
I segnali di confine

Prima del Borgo Franco Bolognese di Castel Franco il Forum Gallorum di età romana, indicato nella Tabula Peutingeriana, si caratterizza come forum, centro di mercato sorto sulla strada consolare Emilia. Questo insediamento fra le due importanti colonie di Mutina e Bononia si colloca su un crinale naturale di pianura, un dosso rialzato fra zone impaludate, probabilmente su una conoide di un antico fiume e si posiziona quale nodalità di incrocio fra percorsi e posizione dei principali corsi d’acqua e ponti di attraversamento.

Umbri, Italici, Liguri, Etruschi, Celti, Romani, Bizantini, Longobardi, Franchi, cittadini dei comuni nemici di Modena Ghibellina e Bologna Guelfa, nobili e popolani dello Stato Pontificio o del contrapposto Ducato Estense hanno convissuto e abitato da opposte sponde il confine millenario dello Scoltenna: fra Panaro e Reno sui due lati del crinale appenninico che termina a Bazzano e si dipana con percorso variabile e diacronico nella alta e bassa pianura.

Nell’area di perenne limes (confine), ove già si dividevano in età romana il territorio modenese e quello bolognese, e, ancor prima, si incontravano e scontravano Celti ed Etruschi, proprio nel centro geometrico della città di nuova fondazione del Castello Franco a delimitare il sagrato della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, compaiono, ora simbolicamente riposizionati nell’Ottocento, i segnali di confine, i cippi in pietra con incisi i monogrammi dei contrapposti stati delle città sempre nemiche: Bologna e Modena. Nella stessa chiesa si fronteggiano, proprio nel cuore del confine conteso, le statue dei santi patroni delle due città, San Petronio di Bologna e San Geminiano di Modena.

Particolare di cippo confinario di età comunale con l’iniziale di Bologna

Castel Franco nasce come borgo Franco quindi limes, confine castrense, ed è sinonimo di confine di pietra. Il 1228 è l’anno della fine della costruzione e dell’inizio della comunità civile e 300 famiglie si stanziarono nel castello e in case circostanti. Il terreno ove si costruì il castello era di proprietà dell’Abbazia di Nonantola e una bolla del 1228 autorizzò a trasferire nel castello, oltre agli abitanti dei borghi vicini, le due chiese limitrofe, Santa Maria di Ambiliano, appartenente alla Pieve di San Giovanni in Persiceto, e San Giacomo del Borghetto in strada, dipendente dalla Pieve di Monteveglio.

All’inizio il sistema difensivo confinario era costituito da terrapieni; la costruzione delle mura in mattoni è documentata alla fine del XIII secolo. Vivere in questo paese di frontiera, vivere al fronte, non era facile per cui, malgrado l’esenzione dalle tasse per le famiglie che vi si spostavano, nel 1249, ce n’erano solo 211; il Comune di Bologna fu dunque costretto a una nuova indizione di famiglie e così ancora nel 1290.

Questo Castello Franco è frutto della natura di limes e manterrà quest’anima duale di essere sempre in un rapporto biunivoco con un’altra entità contrapposta. Questo status permane per oltre mille anni: il paese del doppio, ha due chiese, due farmacie, due caffè principali, sempre contrapposti uno di fronte all’altro e allineati sulla via Emilia, già nel 187 a.C. tracciata come strada di confine.

Archivio di Stato di Bologna, mappa del XVII secolo, la terra di confine fra la via Emilia e il fiume Panaro
La costruzione del confine

L’edificazione del Castello Franco da parte dei bolognesi si inquadra nelle politiche di appropriazione del territorio da parte dei centri maggiori in tutta Italia ed Europa tra XII e XIII secolo. Queste città nuove di fondazione, frequenti ovunque in epoca comunale, sono costruite nella maggior parte dei casi per far fronte all’incremento demografico e convogliarlo in luoghi atti a difendere al meglio i confini, concedendo in cambio le franchigie alla popolazione.

Ma ecco che, al contempo, a esasperare la valenza di confine, la nemica Modena, a poche centinaia di metri dal Castello Franco, edifica Castel Leone, un’analoga fortificazione sull’asse della via Emilia romana.

Questa area di confine si popola non solo di dogane e ponti ma anche di osterie, come la Zocca modenese che fronteggia la Corona bolognese. Non a caso il tortellino, questo cibo famoso nel mondo, non poteva che nascere proprio a cavallo tra le due città contrapposte Bologna e Modena, ragion per cui nessuna delle due può ancor oggi rivendicarne la genesi e la paternità.

L’osteria della Corona il luogo topico della nascita del tortellino citato nel Seicento da Alessandro Tassoni

Ruolo primario è quello dei corsi d’acqua che via via delineano, al pari dei percorsi, le linee confinarie in continuo spostamento quale la Muzza de’ Confini, il Bisentolo (che significa linea di confine) o il fiume Panaro che, per oltre un secolo, fu confine combattutissimo tra Longobardi e Bizantini e persino linea dividente delle due contrapposte civiltà gastronomiche modenese e bolognese, del maiale e della pecora, con uno strascico di questo dualismo ancora oggi presente nella cucina tradizionale di queste aree.

In questo territorio esistono ville gentilizie, come villa Solimei, attraversata al centro da una linea confinaria che divide in due l’edificio proprio nel salone delle feste dove sono affrescati sulle pareti fronteggianti i due fiumi contrapposti Reno e Panaro.

In questa area ancora nel Novecento si celebravano le feste tassoniane Mutino/Felsinee, organizzate da grandi personalità come Angelo Fortunato Formiggini per parte modenese, Giovanni Pascoli, Giosuè Carducci, Olindo Guerrini per quella bolognese, per rimarcare la rivalità seppur in termini goliardici tra le due città che hanno condiviso e conteso per quasi un millennio il loro confine. 

Determinante per questo territorio è l’anno 1929 quando Benito Mussolini, capo del Governo, preoccupato della dirompente ascesa politica dell’allora podestà di Bologna Leonardo Arpinati, per indebolire la sua carica decise di spostare Castelfranco, il comune più grande di competenza bolognese, dalla Provincia di Bologna a quella di Modena, esplicitando un uso politico del tema del confine.

La filosofia del confine

Nel quadro sinora delineatosi si evince come il territorio manifesti esplicitamente lo sviluppo storico e mostri la propria identità.

La configurazione della realtà territoriale nei suoi elementi geografici, idrografici, geologici può spiegare i suoi successivi sviluppi: le attività e le costruzioni tendono ad assecondare le predisposizioni naturali dei siti. Gli insediamenti, ciascuno con le proprie caratteristiche, si originano in corrispondenza degli assi viari che seguono i fiumi principali, risalgono le vallate e unificano i contrapposti sistemi di crinali con i mercati come centri di saldature, quale è Forum Gallorum per l’Emilia. Gli insediamenti di maggior peso, le città, restano nelle intersezioni tra le adduzioni in alta pianura e le percorrenze di fondovalle per assicurare una connessione fra le strutture produttive, insediative e viarie preesistenti con quelle di nuovo impianto derivanti dalla progressiva utilizzazione della pianura.

E questo avviene in particolare in Emilia dove gli insediamenti preromani vengono interpolati con quelli romani con ubicazione in rapporto alle vie di crinale appenninico e con valenze confinarie.

E in questo essere proprio di queste aree particolari c’è al contempo un tema di socialità e di simbologia e religiosità; basti pensare che per i Romani le pietre confinarie erano sacre e non potevano essere rimosse.

Il limes, confine, è frutto di battaglie, rischi, atti di coraggio, non un limite stabilito ma conquistato in un continuo divenire. Nei secoli il limes si configura limen, una soglia che consente il passaggio quale condizione del rapporto incontro-comunicazione.

Andrea Capelli

Andrea Capelli

Architetto, vincitore del premio Edoardo Collamarini; studioso di storia del territorio, allievo della scuola di Saverio Muratori, autore di vari saggi di tipologia edilizia e territoriale, ha partecipato e organizzato convegni e seminari su vari temi nel campo dell’architettura. Ha svolto una docenza universitaria con incarico presso la facoltà di Ingegneria/Architettura di Bologna; già funzionario progettista presso il Comune di Modena e poi architetto presso le Soprintendenze Monumenti di Parma e Bologna dove ha ricoperto ruoli dirigenziali. Autore di progetti di restauro e direzione lavori su beni storico artistici in varie città dell’Emilia.