Dopo la crisi si torna a viaggiare

Riflessioni sul turismo in epoca di pandemia
Vista dal Corcovado (Rio de Janeiro - Brasile)

Non oltre un anno fa la UNWTO, l’Organizzazione Mondiale del Turismo, dichiarava che, con oltre un miliardo di turisti in movimento verso le destinazioni internazionali, il turismo è da considerarsi il settore economico primario, il cui volume d’affari contribuisce al 10% del Pil e al 6% delle esportazioni totali nel mondo. Per lungo tempo il viaggio ha costituito il più potente e apprezzato fattore di stratificazione sociale, il materiale con il quale ogni giorno si sono costruite e ricostruite sempre di più su scala mondiale le nuove gerarchie sociali, politiche, economiche e culturali. Adesso la pagina del sito ufficiale dell’agenzia avverte la necessità di un forte sostegno politico e un’azione congiunta per ripristinare la fiducia e far ripartire il turismo.

Non si viaggia più, o per lo meno, a più di un anno dalla pandemia, ci si sposta poco e solo per motivi strettamente necessari. Le immagini del mondo che ci arrivano sono crude, non hanno nulla a che vedere con le spiagge bianche, il mare turchese o i volti ridenti in costumi tradizionali a cui siamo abituati. Eppure da più parti si preme e si progetta un mondo in sicurezza. Il passaporto vaccinale, i controlli alle frontiere, negli alberghi e nei ristoranti blindati, le navi, treni e i voli Covid tested devono garantire il diritto alla mobilità per tutti.

Si disegnano viaggi e si aprono corridoi verso destinazioni con vaccinazioni assicurate, le Maldive, le Seychelles, Dubai e Stati Uniti sono i partner privilegiati nel protocollo elaborato sui parametri del Digital Green Certificate dell’Unione Europea. Il turismo è necessario e imprescindibile, importante fattore di crescita, fino a poco tempo fa ritenuto esponenziale e illimitato e di cui la pandemia ha mostrato il volto contradditorio.

Sosta di fronte al Buddha (Nara - Giappone)
Sosta di fronte al Buddha (Nara – Giappone)
Libertà di movimento

Ci siamo dimenticati che il diritto alla mobilità ricreativa era ed è un privilegio di poche persone provenienti dalle regioni ricche del globo. L’abolizione progressiva dei visti in molti paesi è accompagnata dall’inasprimento dei controlli alle frontiere di altri ed è un modo sottilmente discriminatorio per dividere i turisti dagli indesiderabili, da chi ha il diritto a muoversi e da chi no, in un mondo che erge confini e in cui a viaggiare ora sono solo quelli in fuga da guerre e carestie. Adesso la separazione ed esclusione nello spazio parla il linguaggio della diseguaglianza, sempre più marcata e non più solo tra turisti e migranti, ma anche tra turisti e locali.

Scenari di mercato

Nei paesi del Sud del mondo, quello stesso turismo invocato a più voci in grado di risolvere i problemi e apportare benefici alle comunità locali e su cui si è investito capillarmente, rischia di stravolgere ancora di più le loro fragili economie. I grandi tour operators, le compagnie crocieristiche, di aviazione e le catene alberghiere, le quali da sempre accentrano nelle loro mani l’intero pacchetto del viaggio, in un all inclusive, protetto e assicurato, di fatto lasceranno ben poca cosa nelle destinazioni di arrivo, poiché saranno ridotte al minimo le escursioni, gli acquisti liberi e i momenti di incontro con la popolazione.

Bambini che accolgono i turisti (Oasi - Marocco)
Bambini che accolgono i turisti (Oasi – Marocco)

La dipendenza dai mercati globali mostra adesso la sua completa vulnerabilità; impensabile non tenere conto della crisi conseguente alla pandemia in termini economici, ambientali e sociali. Il Covid 19 ha cambiato la mappa geopolitica del pianeta dove molti posti di lavoro e imprese dipendono dall’industria turistica. Cosa succederà tra poco in Brasile, in Asia, Africa o anche qui da noi nella nostra piccola Italia?

L’attenzione rivolta al lato economico, ai flussi numerici, ai trasporti o investimenti, mette in secondo piano i luoghi dell’esperienza turistica rivelandone la fragilità. Non ricordiamo più le gigantesche navi sullo sfondo della piazza di San Marco a Venezia o Firenze, Roma e le altre città d’arte, mete dei circuiti organizzati di massa con le problematiche di overtourism e gentrificazione. Si ripropone ancora una volta il dilemma sul settore: risorsa o sfruttamento? Il paradosso riposa sul suo labile confine.

Per una cultura del turismo

La pandemia ci offre la possibilità di ripensare al turismo che vorremmo per il nostro futuro, sia incoming che outgoing, di ripensarne i presupposti in una nuova visione che vada oltre l’orizzonte ristretto del domani. Se di certo non possiamo uscire dal mercato, a detta di Serge Latouche mai giusto per natura, possiamo desiderarne uno più umano e solidale, rispettoso del nostro quadro di vita. Questo periodo di sospensione ci ha insegnato la consapevolezza di un tempo diverso rispetto alla vorticosa velocità a cui ormai eravamo assuefatti e al consumo sfrenato di beni e servizi, funzionali al mito fondante della società capitalistica di mercato.

Potremmo approfittare per adottare buone pratiche rispettose dell’ambiente, coltivare gli spazi comuni e curare i nostri patrimoni. Non più solo turismo culturale dunque, ma una cultura del turismo per rimettere al centro delle scelte l’uomo, i suoi luoghi e la sua comunità.

Il mercato (Pisac - Perù)
Il mercato (Pisac – Perù)

Barbara Tagliolini

Storica dell’arte e antropologa (DEA all’EHESS di Parigi), ha una formazione in cooperazione internazionale. Svolge attività di progettazione turistica sostenibile in Cile per aziende multinazionali, comuni e comunità indigene e in Italia di consulenze nel campo del turismo, comunicazione e valorizzazione culturale del territorio. Dal 2003 al 2009 ha insegnato Tecniche di Mediazione Culturale ed Educazione Museale per il Turismo all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Autrice di vari saggi e pubblicazioni è guida turistica per la Provincia di Roma.