In ambito architettonico un tema importante è l’attenzione alla materia e alle tracce insite in essa, spesso uniche testimoni di fasi di vita degli edifici. Approcciandosi a esse è importante non tralasciare l’analisi dei dettagli che, se eliminati, causerebbero la perdita irreversibile di informazioni.
La basilica di San Simpliciano, sita nell’omonima piazza a Milano, data la lunga storia, di tracce ne ha molte e dimostra come basti partire dalla loro lettura per ampliare la conoscenza dell’evoluzione che l’ha resa come è oggi. In tale sede si porta il caso di analisi stratigrafica del fronte sud del transetto a seguito dell’evidenziazione di una traccia arcuata sul lato interno del contrafforte centrale.

Il monumento
L’edificio di origine paleocristiana subì numerose modifiche a partire dalle fasi longobarda e romanica, seguite da quella barocca in cui si convertì il portico paleocristiano in cappelle. Passando ai restauri, tra i principali si ricordano il “ristauro universale” di Giulio Aluisetti nel 1841 e il restauro in stile di Carlo Maciachini del 1870 cui si deve la facciata neoromanica. Gli ultimi interventi datati al 1959 e 1972 riguardando l’abside e le ultime parti paleocristiane. Data la lunga storia, a oggi la struttura è un palinsesto per approcci stratigrafici dai quali un eventuale intervento di restauro non dovrebbe prescindere.
Metodologia di studio
Premettendo che un corretto studio deve sempre guardare alla totalità dell’edificio, in tale sede al fine di mostrare come l’analisi di una singola parte può anche da sola fornire dati utili da cui partire, si mostra quanto svolto sul transetto meridionale. Seguendo i metodi archeologici dell’analisi stratigrafica si è partiti individuando sui prospetti del transetto le unità stratigrafiche (US) negative o positive, ossia tutte quelle unità che mostrano una fase, un’azione oppure una mancanza; di queste se ne sono studiati i punti di contatto per dedurne la sequenza stratigrafica relativa, ossia quale parte viene prima o dopo.

Deduzioni stratigrafiche
Attraverso i suddetti studi si è potuto evidenziare come la facciata racconti più fasi caratterizzate da aperture, chiusure di finestre, tagli di speroni sporgenti e tamponamenti, connesse anche a cambi delle tecniche murarie. Approfondendo la traccia presso il contrafforte, essa rimanda alle impronte di solito lasciate da volte poi rimosse. Se di ciò si trattasse allora si avrebbe la prova di una copertura voltata di strutture che dovevano qui addossarsi. Un importante elemento di confronto è dato dalla stampa del 1760 rappresentante la chiesa, realizzata da Giulio Cesare Bianchi.

Come è possibile notare nella stampa presso l’area di nostro interesse vi è un volume addossato al transetto. Altra fonte è poi una cartolina con la chiesa nella medesima angolazione della stampa.

Il suddetto volume stavolta manca, ma si notano sulle murature intonaci che rimarcano la forma della nostra traccia. Questi indizi potrebbero vedersi come conferma della presenza di una struttura voltata non più esistente al momento dello scatto della foto. Non è nota la datazione della cartolina ma valutando i dettagli si individuano dei riferimenti. Ad esempio la finestra del lato sinistro del transetto ha subito la modifica sommitale da architravata a semicircolare, documentata tra i restauri di Aluisetti. È possibile riferire la struttura della basilica a dopo il 1870 dato che la facciata mostra le modifiche del Maciachini.
L’immagine della cartolina risulta importante poiché dimostra che il volume documentato dalla stampa più antica, intorno alla metà del secolo scorso, non era più presente ma ne restava ancora l’intonaco. Questo, oggi rimosso, confermerebbe come la traccia di nostro interesse sia il segno rimasto della volta che qui doveva innestarsi e contro cui terminava il rivestimento stesso. Per quanto riguarda l’identificazione del volume, restano ancora dubbi. Un indizio può vedersi nel quadro cronologico proposto da Claudio Batistini, in cui elenca le vicende principali della chiesa e segna che nel 1798 «vengono demoliti l’oratorio di S. Giovanni Battista e la cappella del Corpus Domini posta nella parete meridionale del transetto destro» (Batistini 1979). Potrebbe dunque pensarsi che la cappella in questione sia proprio il volume visto nella stampa del 1760 ed assente infatti nella cartolina.
Pur necessitando di maggiori analisi, si ribadisce come lo scopo del lavoro riportato è di mostrare come da semplici tracce si possa avviare una ricerca che spesso rischia di essere cancellata dai restauri senza prima essere percorsa. Un’analisi come la presente, fatta con giusti approcci è senza dubbio un semplice ma importante strumento non solo per lo studio in sé dell’edifico, ma anche come studio preliminare agli interventi. Per avvalorare qualsiasi ipotesi sulla storia però, come l’archeologia insegna, un punto fondamentale è il confronto dei dati. In questo caso la ricerca è andata oltre la sola visione diretta rapportandosi con le vedute storiche. Il dato interessante da evidenziare è proprio come le tracce si incastrino tra loro come fossero pezzi di un puzzle che sta a noi, però, aver cura di rintracciare, comprendere e ricostruire.