La collezione di marmi colorati è frutto di una donazione fatta nel 2003 dai Padri Agostiniani del Convento della Santissima Trinità di Viterbo all’allora Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali. La collezione, che originariamente comprendeva anche circa 150 campioni di rocce e minerali, anch’essi attualmente custoditi presso il Sistema Museale di Ateneo, è composta da circa 100 esemplari e fu raccolta negli anni compresi tra il 1898 e il 1919 dall’allora Priore Generale dei Padri Agostiniani Tommaso Rodriguez.
I campioni di marmi colorati, perlopiù di provenienza antica, rappresentano gran parte dei marmi colorati che in particolare in epoca imperiale trovarono ampio impiego all’interno dell’architettura romana antica. Molti degli esemplari della collezione sono pertinenti a lastre di rivestimento di antichi edifici, con tutta probabilità raccolti a Roma o nel suburbio romano, mentre altri sono stati verosimilmente acquisiti, all’epoca della costituzione della raccolta, presso botteghe di marmorari. Diversi esemplari sono stati ritagliati per ottenere piccole lastre da collezione secondo il gusto ottocentesco, altri invece, per motivi a noi ignoti, hanno solo l’incisione preparatoria per il taglio che non è mai stato realizzato.

L’esposizione del Sistema Museale è costituita da una selezione di alcuni esemplari di marmi policromi tra quelli più significativi e meglio conservati, tutti di provenienza antica. L’intera collezione è stata oggetto alcuni anni fa di una tesi di laurea che ha consentito lo studio ed il riconoscimento dell’insieme dei diversi litotipi marmorei presenti in essa.
Il marmo nell’antica Roma
Col termine marmo ci si riferisce in generale a tutte le rocce, policrome o non, suscettibili di acquisire lucentezza dopo essere state sottoposte a lucidatura. L’etimo deriva infatti dal verbo greco “μαρμαιρω”, che significa “io risplendo”. In petrografia, invece, con tale termine ci si riferisce esclusivamente alle rocce carbonatiche, costituite da calcite, che hanno subìto un processo di metamorfismo e riguarda pertanto solo i marmi bianchi.

Fu tra la tarda repubblica ed il primo impero che l’uso del marmo, sia bianco che policromo, divenne a Roma un prezioso strumento di ostentazione del prestigio personale da parte delle élites locali. Nelle domus aristocratiche, in età tardo repubblicana, furono soprattutto le stanze destinate al ricevimento ad essere impreziosite da tali materiali. Tra i primi casi di impiego si ricordano la soglia monolitica in giallo antico della casa di Marco Emilio Lepido del 68 a.C. e il rivestimento parietale in marmo lunense e caristio di quella di Mamurra sul Celio del I sec. a.C., che rappresenta il primo utilizzo di lastre marmoree. I fusti monolitici di colonne negli atri delle abitazioni erano strettamente legati alla volontà di aprire la parte pubblica delle stesse alle clientele, fondamentale strumento di lotta politica. La conquista romana, tra il II e il I sec. a.C., di molte regioni del Mediterraneo, in particolare la Grecia, l’Asia minore e l’Egitto favorì lo sfruttamento da parte dei Romani delle cave di marmi bianchi e colorati dislocate in questi territori.

Lo sfruttamento diventò intensivo nel corso del principato di Augusto, al punto che Svetonio, biografo dell’imperatore, ci testimonia come Roma fosse divenuta una “marmoream Urbem“, città di marmo. L’uso dei marmi, e in particolare di quelli colorati, ebbe di fatto un ruolo di rilievo nella ideologia imperiale di Augusto e dei suoi successori. Nel dotare la città di materiali così preziosi egli non intendeva solo fornirla di un apparato monumentale consono al suo nuovo status, ma anche ridistribuire le ricchezze accumulate durante le guerre civili, attraverso la promozione di impegnative opere pubbliche.
I Romani selezionavano i diversi marmi, ed in particolare quelli colorati, non solo in base al loro valore estetico, ma anche per le proprietà fisico-meccaniche che possedevano in vista della loro destinazione finale negli edifici. Erano ricercati i litotipi più particolari e la loro scelta marcava le differenze di status. Le qualità più costose erano appannaggio delle classi più abbienti o addirittura della sola famiglia imperiale, come nel caso del porfido rosso utilizzato per il sarcofago di Elena, madre di Costantino I. I meno ricchi dovevano ricorrere a litotipi meno costosi o ai marmi di “sostituzione”, una categoria importante di materiali colorati, somiglianti esteticamente alle varietà estratte nelle più remote e preziose cave imperiali, ma il cui luogo di estrazione era molto più prossimo a quello di impiego, come ad esempio i diversi tipi di granito grigio.

Nei monumenti pubblici e nelle domus romane oltre alle colonne e alle lastre di rivestimento sia parietali che pavimentali, bacini, capitelli ed elementi architettonici vari erano i manufatti per i quali erano maggiormente impiegati marmi bianchi e soprattutto colorati.

Già a partire dal IV-V secolo d.C. e in seguito anche durante tutto il Medioevo, i marmi policromi utilizzati nelle architetture antiche furono spesso spogliati per essere reimpiegati in varie forme nelle chiese e nelle residenze private.