L’arte in una favola

Inés de Castro all'hotel Quinta das lagrimas di Coimbra

Studente, ventenne, squattrinato, amante dei viaggi, ottimo francese, inglese sgangherato (un classico dell’epoca) trovai la via di fuga attraverso un tour operator di Milano e un’agenzia di viaggi bolognese. Mi mandavano spesso a Parigi, talvolta con altri sei o sette ragazzi, come tour leader (allora semplicemente guide) su un treno zeppo, ad esempio, di 350 bancari riminesi. Fatica, tanta, guadagno irrisorio, quasi sempre sperperato in loco comprando matite personalizzate e divorando éclaire al cioccolato da quindici franchi, un decimo della paga lorda.

Anni ’70, l’anima di Fantozzi aleggiava saturando l’aria. Hotel Concorde Lafayette, cinque stelle, nuovissimo, galleria commerciale interna strepitosa, stanze con tv color allora rarissimo, tutta Parigi ai tuoi piedi. In attesa della colazione, un gruppo di gitanti commenta con una sufficienza velatamente schifata l’albergo, e io, che le stelle le vedevo solo quando mi smartellavo un dito, mi chiedevo in quali castelli abitassero questi signori. Poi arriva il direttore della banca, un metro e mezzo di bonomia istituzionale e sorrisi circostanziati. Ancora sulle scale esclama, avete visto che bell’albergo? A questo punto, gara di ammiratori, Potemkin style. L’hotel, un sogno, la colazione, che profumino!

La gita era pasquale, un giorno e mezzo al netto dei lunghi viaggi ferroviari. La mezza giornata era la mattina in attesa del treno di ritorno. Ogni guida chiedeva al proprio gruppo le preferenze su come trascorrere le ultime tre ore parigine. Louvre, fra esclamazioni squillanti e borbottii di maniera. Da sottile carogna chiesi quali dipartimenti preferissero, per sentirmi farfugliare qualcosa che suonava Gioconda. Stessa, identica commediola a ogni viaggio: il primo giorno nessuno voleva, giustamente, chiudersi in un museo, tutti preferivano l’aria di Parigi. Ma, prima di tornare, la coscienza culturale imponeva. Ogni volta ero costretto a precisare che, per un gruppo non prenotato, la visita al Louvre sarebbe stata problematica, e il poco tempo non avrebbe permesso di vedere granché. Forse giusto la Gioconda, e non era nemmeno certo che si facesse in tempo.

Da vera carogna buttavo lì un Jeu de Paume, un Grand o Petit Palais. Infine, tentavo un’Orangerie, ma gli impressionisti non li impressionavano. Mai. D’altra parte, i tempi sarebbero stati stretti anche per le soluzioni alternative.
La parola magica era Lafayette. Neppure Printemps: non contavano gli oggetti acquistati, ma solo il marchio sui sacchetti.

Parigi, Magazzini Lafayette
La globalizzazione ha aumentato l’interesse dei visitatori per i musei?

A distanza di tanti anni mi chiedo che cosa sia cambiato veramente. Il numero dei visitatori di musei e gallerie è aumentato in tutto il mondo, soprattutto grazie alla globalizzazione, ai cieli fitti di aerei a basso costo, a internet che informa molto più di quanto non faccia la televisione.

Ma, riguardo ai viaggi organizzati, c’è da chiedersi quanto incrementino e quanto allentino l’interesse per il patrimonio culturale. Le crociere, ad esempio, hanno tempi strettissimi, ulteriormente ridotti nei Paesi in cui i controlli di frontiera sono lunghi. Le visite a musei e pinacoteche avvengono durante le brevi tappe delle navi, non importa se queste coincidano con alte affluenze di pubblico e, addirittura,  con passeggeri di altre navi o massicci gruppi su diversi pullman.
Così può avvenire che, sbarcando a San Pietroburgo, si visiti l’Hermitage con prenotazione e pulmino, ma ci si trovi a tentare di osservare un’opera travolti da  centinaia di persone che corrono con scarsa educazione e occhiate frettolose nell’unico intento di concludere il percorso stabilendo record olimpici.

Senza, dunque, pretendere di trasformare lo svago in cultura pura, tour operator illuminati potrebbero improntare messaggi pubblicitari per alcune destinazioni all’insegna di concetti che non offuschino la libertà e l’azzurro cielo della vacanza, ma aggiungano avventura all’arte. Opere che raffigurano storie avvincenti attrarranno e diventeranno argomenti di conversazione fra compagni di viaggio e al ritorno dalla vacanza.

Valorizzare storie e leggende locali

Strategie di questo genere sono più adatte a piccoli operatori, ma mescolare sacro e profano è meno difficile di quello che sembra. In molti casi non è necessario inventarsi alcunché, basta valorizzare la storia locale. Meglio se profuma di leggenda.

Un magnifico esempio. A Coimbra, in Portogallo, c’è un hotel, cinque stelle vere, ma nulla in confronto alla  leggenda che cela: l’immenso giardino che lo circonda racconta una delle storie più struggenti che siano mai state narrate.
Inés de Castro, figlia illegittima di un nobile castigliano, divenne dama di compagnia della cugina Costanza Manuel, che seguì in Portogallo quando questa andò in sposa all’erede al trono Pietro I, il quale, però, ben presto si innamorò di lei e la loro relazione emerse dopo che Costanza morì di parto.
I due ebbero diversi figli e nel 1354 lui la sposò. Ma un’agguerrita corte castigliana intorno a Inés stava indebolendo la dinastia portoghese, al punto che re Alfonso IV, durante l’assenza del figlio Pietro, andò nel monastero di Santa Clara, dove lei viveva con tre nobiluomini i quali la pugnalarono senza pietà nonostante le suppliche della donna al sovrano.

Seguì una guerra fra l’esercito di Pietro, accecato dal dolore, e quello del padre. Infine la pace, ma non perdonò mai gli assassini della moglie, che fece uccidere subito dopo essere salito al trono e, come supremo atto d’amore, riesumò il corpo di Inés proclamandola regina del Portogallo. L’hotel si chiama Quinta das lagrimas perché nel suo parco c’è un ruscello dove leggenda vuole che scorrano lacrime di Inés de Castro.

Coimbra, lapide che ricorda il ruscello dove leggenda vuole che scorrano lacrime di Inés de Castro

All’interno dei vari corpi che compongono l’albergo questa storia è rievocata con innumerevoli opere d’arte, alcune delle quali antiche.

Coimbra, Hotel Quinta das lagrimas, ruscello dove scorrono le lacrime di Inès de Castro

Ma altre, modernissime, come quella qui raffigurata, dello scultore contemporaneo portoghese João Cutileiro (1937-), sono vissute anch’esse come parte della favola triste, in un percorso che induce alcuni ospiti a non uscire mai, neppure per visitare Coimbra, la città in cui si erano recati.

João Cutileiro (1937-), Inès de Castro

Gian Stefano Spoto

Gian Stefano Spoto

Gian Stefano Spoto, giornalista e autore televisivo. È stato, fra l’altro, inviato speciale, vice-direttore di Raidue e Rai Internazionale. Ha scritto cinque libri: l’ultimo, Deserto bianco (Graphofeel editore) sul Medio Oriente dalla guerra di Gaza ai giorni nostri.