L’attuale produzione edilizia, ovvero la babele compositiva contemporanea, è caratterizzata da una incredibile sommatoria di oggetti architettonici senza alcuna correlazione stilistica reciproca.
Ciascun progettista oramai agisce cercando di distinguersi da quello che fa il vicino; la progettazione individualistica e la conseguente personalizzazione dei manufatti edilizi a tutti i livelli si sono sostituite al concetto, che fino alla metà del secolo scorso era sempre esistito, di dare un apporto a uno sviluppo globale e omogeneo dell’edilizia.
La bellezza della città antica, e tutti i centri storici italiani ne sono una splendida testimonianza, consisteva proprio nell’omogeneità dell’insieme, sia per tipologie edilizie, che per i materiali costruttivi, che per colori ed elementi di finitura che nascevano da una consolidata e atavica tradizione locale ben differente a seconda dell’area geografica e culturale sottesa.
Unitarietà nell’ambito della quale c’era ugualmente la possibilità di personalizzare il prodotto edilizio che nasceva dall’uso, comunque e sempre, di materiali costruttivi e di finitura e da linguaggi edilizi unitari strettamente relazionati alla koinè locale che progrediva su sé stessa sia in termini sincronici che diacronici.
Ad esempio, è evidente a tutti come una qualunque strada o tessuto della città storica sia fatta da una cortina di case sui due lati, tutte simili fra loro, spesso con i portici in area padana, e prospetti articolati ma rispondenti a regole comuni, come la disposizione simmetrica delle bucature, la forma e pendenza delle coperture, la comunanza degli elementi di finitura per materiali o colori o per la foggia dei manti dei tetti, o gli infissi o i comignoli.
In questo contesto di architettura la nostra tradizione si è stratificata coerentemente su sé stessa con evoluzione armonica nei secoli. È facile cogliere l’esigenza e necessità, in primis comunque, di diffondere il tipo edilizio e come elemento costituente il tipo, al pari del tema distributivo/funzionale di propagare, secondo regole comuni. l’utilizzo dei materiali costruttivi disponibili nella zona di appartenenza.
Di questo, in particolare, il corrente articolo vuole trattare con specifico riferimento alla fondata e importante tradizione delle strutture edilizie lignee in area padana di media pianura.
È infatti palese come la città storica e l’edilizia sparsa nel territorio delle campagne, sia per l’edilizia specialistica che per quella di base, cioè la residenza, utilizzassero i materiali da costruzioni prevalentemente presenti in situ; nelle zone boscate il legno degli alberi, i mattoni cotti o crudi nelle aree ricche di argilla, i sassi di fiume nelle zone perifluviali, le pietre di cava nelle aree ricche di macigno, le canne di fiume nelle zone ricche di paludi.
Questi materiali peraltro venivano utilizzati secondo regole e principi che erano patrimonio spontaneo di ogni progettista o capomastro secondo un utilizzo ottimale in relazione alle proprie caratteristiche costituenti e sempre in relazione alle caratteristiche bioclimatiche che la tradizione secolare via via selezionava sapendo ottimizzare il loro uso.
Le strutture storiche lignee
Nel dettaglio è poi possibile argomentare in questo ambito l’utilizzo prevalente e atavico delle strutture lignee negli elementi, portanti e non, dell’edilizia tradizionale in area padana di pianura.
Posto che l’edilizia tradizionale di ogni area territoriale è profondamente influenzata dai materiali da costruzione prelevabili nelle immediate vicinanze, la facilità d’approvvigionamento ha sempre indirizzato necessariamente verso ciò che offriva il territorio circostante. La costanza nell’utilizzo degli stessi materiali ha favorito poco per volta l’affermarsi di una pratica costruttiva che, custodita gelosamente, veniva tramandata oralmente e fattualmente con progressivi aggiornamenti e migliorie.
I materiali locali erano preferiti ad altri anche se di qualità superiore ma provenienti da aree distanti, intanto perché di quelli del posto se ne conoscevano al meglio le caratteristiche e le modalità di impiego e inoltre perché si evitavano problemi dovuti al trasporto effettuato con metodi certo non agevoli.
Gli stessi laterizi per le costruzioni in area padana vennero introdotti nell’area lentamente, specie per le case di abitazione, a causa del costo elevato dei mattoni stessi ma, soprattutto, per la persistenza delle tradizionali tecniche costruttive acquisite da un secolare uso di materiale vegetale facilmente reperibile, tant’è che ancora alla fine del XV secolo assistiamo all’impiego di materiale promiscuo per le strutture murarie verticali. Il processo a cui si assiste è quello di una progressiva sostituzione di materiale ligneo con quello in laterizio che entrò in uso in primis e necessariamente per le strutture di fortificazione, pur considerando che tanti castelli ancora nel Trecento erano lignei e con terrapieni e fossati.
Ma perché si costruiva in legno in aree specie bolognesi e modenesi nelle quali tante testimonianze sono ancora presenti (si pensi alle belle case con portico ligneo di Bologna come casa Isolani o alle note case di Cento fra cui la casa Pannini con affreschi del Guercino)? Innanzitutto dobbiamo considerare la natura del terreno di queste zone: terreni instabili e paludosi dove costruire per punti, cioè con pali verticali infissi nel terreno (con basi troncoconiche spesso di selenite d’Appennino), garantiva una resistenza statica dell’organismo edilizio a fronte di movimenti del terreno anche piccoli, a differenza di una struttura muraria continua e pesante con fondazioni lineari.
Non dobbiamo sottovalutare la presenza in loco per molti secoli dei Galli Boi e dei Longobardi, popoli che hanno senza dubbio influenzato la cultura costruttiva locale portando la loro tradizione prevalentemente lignea e di costruzioni leggere (si potrebbero ricordare le terramare dell’età del bronzo, su palafitte peculiari dell’area padana antica che costituiscono un substrato col quale persino la civiltà etrusca che è di tradizione in parte muraria localmente ha dovuto confrontarsi e adattarsi).
La dinamica storica delle costruzioni in area padana è infatti questa: per un lungo periodo già dall’Alto Medioevo le case di abitazione erano completamente lignee anche nelle strutture verticali, cioè i piedritti realizzati con robusti pali di legno, di legno poi i solai, i tetti, le scale, mentre le pareti di tamponamento e i muri interni erano di arellato, con arelle e strato di gesso con legature di corde di canapa ad armatura lignea, quindi muri leggeri con canne palustri, mentre i manti di copertura fino a quasi tutto il Quattrocento erano di paglia (poi proibiti dalle municipalità per ovvie ragioni di facilità all’incendio).
Nelle città e nelle campagne dell’area padana centrale ancora si rinvengono molti esempi di questa straordinaria e millenaria tradizione costruttiva completamente lignea e vegetale.
La tradizione lignea in queste aree non è mai scomparsa: le strutture lignee verticali sono state progressivamente sostituite dai mattoni di argilla cotta e cosi i muri interni ma è rimasto ancora fino a metà Novecento l’uso esclusivo di solai in legno con travi, travetti e coperture con strutture lignee e capriate.
È interessante, rimarcare come solo in area padana rimanga la consuetudine di realizzare le lesene in mattoni fuoriuscenti dal filo della muratura proprio a stigmatizzare la genesi lignea del tipo strutturale che da tronco d’albero diviene pilastro di mattone, ma permane il concetto strutturale della struttura portante che lavora per punti e rimane la visione compositiva della lesena che fuoriesce all’esterno. Un chiaro esempio di questo processo in itinere è il progetto settecentesco delle case con stalla a corpi disgiunti per le campagne bolognesi dell’architetto Carlo Francesco Dotti.