Per il Museo di Zoologia e Anatomia Comparata nel 2018 e 2019 – cioè nei due anni precedenti la pandemia e la conseguente chiusura del museo nel 2020 – è stato attuato un piano di conservazione. Oltre a un monitoraggio ambientale delle sale storiche, realizzato da Servizi Museali di Riccardo Balzarotti, che ha portato a risultati soddisfacenti per quanto attiene ai livelli di temperatura e umidità relativa, che si sono rivelati nella norma e abbastanza costanti, è stata effettuata anche una verifica inventariale e una nuova numerazione dei reperti ascrivendoli al Polo Museale.
È stata anche avviata la catalogazione informatizzata degli esemplari, continuando la sperimentazione già avviata dalla Rete dei Musei Universitari e utilizzando il tracciato della scheda BNZ per i beni zoologici nell’ambito del SIGECweb, Sistema Informativo del Catalogo su web, in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – ICCD del Ministero della Cultura.
Il monitoraggio degli esemplari del Museo ha comportato anche un verifica dello stato di conservazione dei reperti, che è stato annotato nell’inventario in modo da poter essere riportato successivamente sulla scheda conservativa che verrà realizzata per ciascun esemplare. Questo monitoraggio ha permesso di redigere una lista di reperti con esigenze prioritarie di interventi di manutenzione e restauro.

Il rinoceronte nero Diceros bicornis
La scelta di effettuare il primo intervento di restauro su un esemplare di rinoceronte nero (Diceros bicornis Linnaeus, 1758), collocato nella sala centrale Spallanzani del Museo, è stata determinata, oltre che da esigenze conservative, dalla sua rarità, dato che sembra essere l’unico reperto completo rintracciabile in Italia e probabilmente in Europa.
A causa del suo temperamento aggressivo il rinoceronte nero è considerato uno degli animali più pericolosi insieme con l’ippopotamo.
Attualmente esistono tre sottospecie di rinoceronte nero dato che una quarta, Diceros bicornis longipes, è ora considerata come estinta nel suo ultimo habitat conosciuto nel nord del Camerun. Le altre tre sottospecie più numerose si trovano nei Paesi dell’Africa orientale e meridionale: il Diceros bicornis minor (la sottospecie più numerosa) era diffuso un tempo dalla Tanzania centrale, attraverso Zambia, Zimbabwe e Mozambico, fino al Sudafrica settentrionale e orientale; il Diceros bicornis bicornis è una sottospecie delle savane aride e semi-aride della Namibia, dell’Angola meridionale, del Sudafrica occidentale e del Botswana occidentale; il Diceros bicornis michaeli si trovava nella maggior parte delle savane dell’Africa occidentale, dal Sudan del sud fino alla Tanzania.
In base alla Lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura – IUCN, il più ampio database di informazioni sullo stato di conservazione delle specie animali e vegetali di tutto il globo terrestre, il rinoceronte nero è considerato “criticamente in fase di estinzione”.
La sua attuale diffusione è così classificata: nativo, esistente (residente): Angola; Kenya; Mozambico; Namibia; Sud Africa; Tanzania, Zimbabwe. Nativo, estinto: Benin; Burkina Faso; Camerun; Repubblica Centrafricana; Chad; Congo, Eritrea; Etiopia; Niger; Nigeria; Somalia; Sudan del Sud; Sudan; Togo; Uganda. Esistente e reintrodotto (residente): Botswana; Eswatini; Malawi; Ruanda; Zambia. I rinoceronti sono minacciati principalmente dal bracconaggio illegale delle loro corna.
Il rinoceronte nero presente nel Museo di Zoologia di Modena è una giovane femmina interamente tassidermizzata, Diceros bicornis come si legge nel cartellino storico, con ogni probabilità appartenente alla sottospecie michaeli. Proviene dalla Somalia, dove è attualmente estinta: il rinoceronte nero è stato donato come pelle al Museo di Zoologia nel 1933 da Guido Corni, modenese, che fu governatore della Somalia dal 1928 al 1931. Corni donò al Museo di Zoologia anche altri diversi vertebrati, per lo più trofei di caccia del periodo somalo, tra cui un rinoceronte, un ippopotamo, due leoni, un orice giovane, un’antilope, uno struzzo, un coccodrillo e uno scudo di tartaruga di mare.
Date le notevoli dimensioni, gli animali furono inviati “in pelle” e preparati a Modena per l’esposizione. Infatti, sempre nel 1933, Ferruccio Luppi, tassidermista del Museo, montò la pelle di rinoceronte nero su manichino in legno in posa naturale, secondo le tecniche tassidermiche del tempo. Non è chiaro se il rinoceronte e i trofei di caccia siano stati inviati dalla Somalia dopo il rientro a Modena di Corni, dato che in un registro del Museo compaiono tutti insieme come “dono Corni” senza data e in un altro con la data 02.01.1933.

L’intervento di restauro
L’intervento è stato preceduto da un attento esame autoptico sullo stato di conservazione, che è stato accuratamente documentato: il rinoceronte presentava sulla superficie della pelle deformazioni e restringimenti con diverse fratturazioni, fessurazioni parziali e cedimenti strutturali localizzati, dovuti a un’essiccazione naturale. Sono stati prelevati campioni di stucco e dell’imbottitura del rinoceronte. Erano presenti anche numerose lesioni della pelle nella zona ventrale (collo incluso), distale degli arti e all’attaccatura delle unghie. Inoltre il gesso utilizzato per le stuccature, tipicamente igroscopico, era gravemente fessurato e distaccato in vaste aree, in particolare nella porzione posteriore del preparato. L’orecchio destro era gravemente danneggiato; i due corni, ancorati con chiodi di ferro, si presentavano instabili dal punto di vista strutturale.

La base in legno, oggetto di verniciature successive che avevano macchiato il rinoceronte, risultava ammalorata con diverse chiazze riconducibili all’umidità, fessurazioni e distacco della vernice.
L’intervento di restauro, realizzato da Oreste Sacchi, Ugo Ziliani, Salvatore Restivo di Platypus, sotto l’alta sorveglianza di Roberto Monaco, funzionario della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Bologna, e di Cristina Ambrosini soprintendente, è stato non invasivo e ha previsto l’utilizzo di sostanze non inquinanti.
Sono stati rimossi a secco i depositi incoerenti mediante aspiratore e pennelli a setole morbide; i sedimenti di giacitura sono stati eliminati con spazzole di nylon, bisturi, pinze e specilli. Prima dell’intervento di pulitura sono stati effettuati saggi mediante impacchi localizzati con Arbocell 200 e acqua demineralizzata per valutare come effettuare efficacemente, e in maniera non invasiva, la detersione. La superficie è stata poi detersa utilizzando spugne naturali inumidite con acqua demineralizzata e tensioattivo non ionico neutro derivato dall’ossido di etilene (tween20 in acqua demineralizzata al 2%). Successivamente il corno è stato bloccato con perni di ferro per dare stabilità strutturale e si è provveduto al fissaggio localizzato dei lacerti di pelle parzialmente distaccati dal supporto di legno mediante l’utilizzo in dispersione acquosa di omopolimero acetovinilico (Vinavil) a diverse diluizioni, applicato a contatto con pennello e siringa.
I microrganismi biodeteriogeni sono stati inibiti mediante applicazione a pennello di una miscela di acqua demineralizzata e benzalconio cloruro al 2%. La ricostruzione di zone lacunose, fessurazioni di piccole e medie dimensioni è stata eseguita mediante stuccature a livello con un composto a base di omopolimero acetovinilico, microsfere di fillite e fibre di cellulosa, steso a spatola e modellato con spatoline e specilli, avendo avuto cura di ricostruire la texture della pelle. In particolare sono stati effettuati accurati interventi ricostruttivi anche alla base del corno e all’orecchio destro, di cui una abbondante porzione era completamente distaccata.
Dopo un lavaggio accurato, effettuato con acqua demineralizzata e Tween 20 al 2%, è stato rimosso lo strato non originale di vernice incoerente ed esfoliata che ricopriva la base. Le ampie fessurazioni della base sono state stuccate a livello e si è proceduto alla riverniciatura con un colore bianco ad acqua, analogo a quello originario.

L’avvio della diffusione della pandemia all’inizio del 2020 ha impedito l’organizzazione di un laboratorio di restauro aperto per consentire al pubblico di assistere in museo alle diverse fasi dei lavori.