Il Museo di Storia naturale e del Territorio di Città della Pieve, ubicato al piano nobile di Palazzo della Corgna nel centro storico della cittadina umbra, è stato aperto al pubblico nel 2011, grazie a un contributo della Regione Umbria cofinanziato dal Comune di Città della Pieve. L’allestimento del percorso espositivo è stato curato dal Centro di Ateneo per i Musei Scientifici dell’Università degli Studi di Perugia che da anni segue le attività del museo in collaborazione con l’Associazione Gruppo Ecologista il RICCIO di Città della Pieve. Nel 2016 questa Associazione ha anche curato un nuovo allestimento del Museo.
Il nucleo storico del Museo conserva e valorizza campioni e materiali delle raccolte di due illustri naturalisti di Città della Pieve: Antonio Verri (1839-1925), geologo e già Presidente della Società Geologica Italiana, studioso della geologia e della paleontologia del territorio, e Paolo De Simone, agronomo e collezionista di campioni botanici e zoologici.
Paolo De Simone
Paolo De Simone (Caserta 1859-Roma 1906), appassionato cultore di Scienze Naturali e Agricoltura, dopo la Laurea in Agraria a Pisa, giunge a Città della Pieve insieme con Vittoria Mirafiori Spinola, figlia di Rosa Vercellana e Vittorio Emanuele II. Vittoria compra la tenuta di Salci nel 1886 e Paolo diviene suo amministratore. Sono legati da una relazione illegittima essendo Vittoria sposata.
Città della Pieve è per entrambi il luogo ideale in cui cercare di raggiungere le loro aspettative e sperimentare una nuova idea di impresa agricola. A Salci allevano cavalli purosangue, producono vino e impiantano una fabbrica a vapore per la produzione di paste alimentari.
Paolo ha una vocazione naturalistica molto forte a cui unisce creatività e intraprendenza. Ottiene il brevetto per un annaffiatoio particolare a molti usi, denominato Secchia Palusse, adatto ad annaffiare, pulire, pompare e irrorare sostanze anticrittogamiche. È figura di primo piano, ricopre cariche politiche, anima la vita culturale con la sua versatilità e le sue visioni innovatrici. Nella sua residenza pievese chiamata Palusse e situata al centro di terreni nella zona di Poggio al Piano, Paolo costruisce serre, fioriere e ospita le sue collezioni botaniche. Stabilisce anche un’azienda agricola con orticoltura, floricoltura e pollicoltura. L’azienda viene denominata Stabilimento Palusse e ha una filiale a Roma in via del Viminale 11.
Nel 1900, però, il “Palusse” viene venduto perché gravato da debiti e ipoteche. Paolo si trasferisce con Vittoria a Roma, dove si sposano il 7 novembre 1900, e lascia le sue collezioni alla Scuola Tecnica di Città della Pieve.
Nel gennaio 1904 Paolo costituisce insieme con Ettore Manzolini una società denominata Unione Orticola Romana Manzolini-Palusse che si occupa di produzione e commercio di quanto attiene a orticoltura, floricoltura, giardinaggio, arte e affini. Paolo gestisce lo stabilimento in via del Viminale. Vittoria muore di polmonite il 29 novembre 1905. A gennaio 1906 Paolo scioglie la società Manzolini e muore suicida il primo maggio dello stesso anno. (I cenni biografici su Paolo De Simone sono estratti da un testo di Maria Luisa Meo in corso di stesura).
La Spermoteca “Paolo De Simone”
Presso il Museo è presente una spermoteca, una collezione di semi conservati in appositi provette di vetro, costituita da 273 campioni di una grande varietà di semi di piante di uso agrario, di provenienza locale, nazionale, europea e extraeuropea. Tale collezione deriva dalle attività commerciali e agrarie di Paolo De Simone. In alcuni contenitori sono stati ritrovati frammenti cartacei di riviste specialistiche dell’epoca (orticoltura/giardinaggio) e anche moduli non compilati per l’ordinazione di semi dalla ditta Fratelli D’Amato-Napoli. Tale ditta al momento non risulta attiva ma si intende verificare eventuale presenza di cataloghi presso le fonti bibliografiche. L’inventario della spermoteca è stato curato dal CAMS negli anni dal 2007 al 2010.
L’agrobiodiversità ritrovata
Recentemente, con l’impulso dell’Istituto IBBR CNR (Perugia) e del Parco3A (Todi), che contribuiscono alla caratterizzazione e conservazione della biodiversità agricola umbra, essendo in particolare il Parco3A la figura istituzionale di riferimento per la stessa biodiversità agricola nella regione, è sorto l’interesse per la caratterizzazione delle accessioni presenti in tale collezione. Risulta noto il forte interesse per la biodiversità agraria del passato e la sua conservazione e messa in coltivazione come sistema di rivalutazione delle tipicità dei territori italiani. La biodiversità agraria ha infatti maggiori possibilità di sopravvivenza se viene di nuovo coltivata e messa in grado di produrre reddito per i coltivatori locali.
L’elenco dei nomi delle piante coltivate riportati sulle etichette dei contenitori museali si riferisce esclusivamente a specie orticole e tra le specie più rilevanti e numerose sono presenti: lattuga, pisello, melone, melanzana, lenticchia, carciofo, peperone, pomodoro, cipolla, cavolo (broccolo, fiore, rapa, verza, cappuccio), cicoria, cece, cetriolo, rapa, ravanello, sedano, spinace, zucca, fava, fagiolo, finocchio, barbabietola.
È stata condotta una ricerca bibliografica per rintracciare l’origine delle accessioni presenti e per un eventuale recupero presso collezioni di germoplasma o altre fonti (ad esempio i coltivatori) in modo da poter promuoverne il ritorno in coltivazione che è di interesse di alcuni agricoltori della zona. Quanto finora verificato è stato trovato nel Bullettino della R. Società Toscana di Orticultura, nel libro Gli ortaggi coltivati di Angiolo Pucci (Bemporad & figlio, 1897) e in cataloghi internazionali dell’epoca.
Le accessioni orticole sono un insieme di varietà locali prevalentemente del Sud Italia, ad esempio l’accessione pisello nano del Vesuvio potrebbe corrispondere all’attuale accessione locale pisello cento giorni del Vesuvio, presidio Slow Food; tale accessione è stata recuperata grazie alla coltivazione di pochi agricoltori della zona napoletana e a iniziative degli enti locali. Sono riportate inoltre le accessioni pisello increspato telegrafo e pisello rampicante telefono che rappresentano una forma interessante di diatriba sulla proprietà intellettuale varietale di antica data.
Infatti il “pisello telegrafo” venne originariamente prodotto dal breeder inglese William Culverwell nella forma con semi sia lisci che rugosi. I semi della varietà “telegrafo” furono poi acquistati dalla ditta James Carter & Co, attiva tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, e venduti probabilmente come “pisello telefono” dalla stessa ditta avendo selezionato la forma rugosa dalla varietà mista “telegrafo”.
Viene riportata una foto dei semi “pisello rampicante telefono” della collezione, che risultano però tutti lisci (anche nel contenitore museale) e anche una foto dei semi “pisello increspato telegrafo” che risultano tutti rugosi. La varietà “telefono” è ancora disponibile presso ditte sementiere, anche italiane, come varietà tradizionale o heritage; rimane da verificare se i processi di selezione abbiano mantenuto il patrimonio genetico originale.
In merito a una specie di grande importanza per l’Italia sono presenti diverse varietà di pomodoro: Re Umberto, fiaschella di Napoli, meraviglia di Napoli, riccio di Nocera. Si tratta chiaramente di varietà delle zone di maggior coltivazione della Campania che in parte sono ancora presenti, anche il “Re Umberto” che è una varietà dell’epoca molto popolare della ditta Benary di Erfurt – Germania.
Un piccolo passo verso la sostenibilità
I piccoli musei non finiranno mai di meravigliare: grazie alle raccolte e alle collezioni che conservano è possibile contribuire alle conoscenze relative al cambiamento avvenuto negli ultimi decenni a seguito della perdita di biodiversità anche vegetale. È noto che l’utilizzo di poche varietà per specie su vaste estensioni ha comportato una perdita di patrimonio genetico, come riportato da vari lavori scientifici. Tra gli obiettivi relativi allo sviluppo sostenibile il numero 15 “Life on land” dell’Agenda 2030 riporta come focus principale la conservazione della biodiversità terrestre.
Il testo è stato scritto in collaborazione con Carmelita Taborgna, Daniela Amoretti, Angelo Barili, Luca Convito, Michele Croce e Sergio Gentili.